Diritto di Famiglia

Lo Studio legale Parra svolge attività di assistenza e consulenza legale stragiudiziale e giudiziale, maturata nel corso di una esperienza pluridecennale, nella materia del diritto di famiglia (di fatto e di diritto) in tutte le sue declinazioni: separazioni personali, divorzi, cessazione di convivenze more uxorio, affidamento dei figli minori, riconoscimento e disconoscimento di maternità o di paternità.



SEPARAZIONE
Per far fronte ad una situazione di crisi familiare si ricorre all’istituto giuridico della separazione personale attraverso il quale i coniugi, pur mantenendo lo stato coniugale, vengono autorizzati a vivere separati.

La separazione non pone fine al vincolo matrimoniale ma estingue taluni obblighi del matrimonio, quali:
• comunione legale dei beni;
• obbligo di fedeltà e di coabitazione.

Altri obblighi invece rimangono inalterati:
• obbligo di contribuzione nell’interesse della famiglia;
• obbligo di mantenimento del coniuge più debole;
• obbligo di mantenimento, di educazione e di istruzione della prole.

Con la separazione legale si regolamenta quindi una serie di aspetti:
• questioni patrimoniali tra i coniugi;
• diritti successori;
• diritto al mantenimento per l’ex coniuge;
• diritto agli alimenti per l’ex coniuge;
• assegnazione della casa familiare;
• affidamento dei figli e il loro mantenimento.

La separazione legale dei coniugi si distingue in giudiziale o consensuale, a seconda dell’incisività che assume l’intervento del giudice nella regolamentazione degli aspetti personali e patrimoniali del rapporto coniugale.
Nella separazione giudiziale il giudice, nell’ambito di un procedimento, assume un ruolo attivo nella determinazione dei profili principali del rapporto. Nella separazione consensuale invece si limita ad omologare l’accordo che le parti insieme hanno raggiunto sui medesimi profili.
Con la riforma attuata con legge n. 151/1975 è stato introdotto l’istituto dell’addebito attraverso il quale si può far dichiarare al giudice che la causa della separazione sia addebitabile a carico di un coniuge. La pronuncia di addebito richiede che il partner abbia messo in atto un comportamento contrario ai doveri coniugali, causando così l’intollerabilità della prosecuzione della convivenza. A mero titolo esemplificativo ad esempio è addebitabile la separazione nelle ipotesi di:

• violazione dell’obbligo di fedeltà, considerato oggi un impegno globale che presuppone la comunione non solo materiale ma anche spirituale dei coniugi;
• violazione dell’obbligo di coabitazione, inteso come allontanamento dalla residenza familiare attuato da un coniuge senza il consenso dell’altro;
• violazione dell’obbligo di assistenza e di collaborazione, si pensi al rifiuto di assistere il coniuge malato o all’atteggiamento ostile ed aggressivo mostrato dal coniuge nei confronti delle opinione espresse dall’altro, con riguardo alla conduzione della vita familiare;
• può concretizzare un comportamento di addebitabilità della separazione anche la patologia, ad oggi medicalmente accertata, dello shopping compulsivo qualora esso sia tale da condurre il coniuge a compiere furti di denaro ai componenti il nucleo familiare, o all’acquisto reiterato di inutili e costosi beni.
Il coniuge al quale è stata addebitata la separazione perde il diritto all’assegno di mantenimento ma non il diritto degli alimenti, qualora ne sussistono i presupposti.



DIVORZIO
Con il divorzio viene consacrata la fine dell’unione coniugale e con essa anche tutti i doveri e le responsabilità giuridiche connesse.
Sino alla l. 898/1970 introduttiva del divorzio, il vincolo matrimoniale – concepito quale legame indissolubile - poteva essere sciolto solo per morte di uno dei coniugi.
L’evoluzione della coscienza civile in tema di matrimonio, non più ispirata all’idea tradizionalista cattolica della famiglia, ha indotto il legislatore ad accogliere l’idea del divorzio quale rimedio per far fronte ad una situazione di fallimento irreversibile della vita coniugale.
Come la separazione anche il divorzio può seguire due percorsi alternativi a seconda che vi sia o meno accordo tra marito e moglie:
• divorzio congiunto quando vi è accordo;
• divorzio giudiziale in caso di disaccordo.

In entrambi i casi, gli elementi sufficienti per richiedere il divorzio sono:
• presenza di una delle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 3 l. 898/1970 (riformato dalla l. n. 55/2015) tra le quali rimane statisticamente prevalente, la protrazione nel tempo della separazione personale;
• assenza della comunione spirituale e materiale tra i coniugi;
• mancanza di coabitazione tra marito e moglie.

Il termine minimo per proporre domanda di divorzio è stato ridotto grazie agli interventi legislativi apportati dalla recente riforma (legge n. 55/2015). È oggi possibile presentare domanda di divorzio decorsi 12 mesi (in luogo dei precedenti 3 anni) dalla separazione giudiziale, decorsi 6 mesi (in luogo dei precedenti 12 mesi) dalla separazione consensuale.



FAMIGLIA DI FATTO E UNIONI CIVILI TRA PERSONE DELLO STESSO SESSO
Note vicissitudini politiche culturali e sociologiche hanno condotto il legislatore, con legge n. 76/2016, a prendere atto del diffondersi del fenomeno delle famiglie di fatto e delle coppie omosessuali.
A seguito del suddetto intervento normativo, può dirsi superata la concezione tradizionale di famiglia fondata esclusivamente sul matrimonio ex art. 29 Cost.
Accanto al matrimonio è possibile, ad oggi, distinguere altre due forme familiari:
• unione civile composta da due persone maggiorenni dello stesso sesso;
• convivenza more uxorio o famiglia di fatto formata tra due persone maggiorenni, indifferentemente omosessuali o eterosessuali, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimoni o da unioni civili.

Elementi comuni alle unioni civili e alle convivenze di fatto sono:
• elemento materiale della stabile convivenza, intesa come coincidenza delle residenze anagrafiche dovendo sussistere una casa familiare ove la coppia trascorre insieme almeno una parte del tempo libero dal lavoro;
• elemento psicologico rappresentato dall’esistenza di un progetto di vita in comune.

Numerose sono invece le differenze che caratterizzano le due forme familiari:
• la disciplina delle unioni civili tra persone dello stesso sesso è equiparata a quella del matrimonio. Gli uniti civilmente quindi hanno gli stessi diritti e doveri dei coniugi. Per i primi tra l’altro è possibile attivare il divorzio diretto senza passare dalla fase della separazione, diversamente da come accade per i coniugi.
• La convivenza di fatto invece, data l’assenza di qualsiasi vincolo giuridico tra i componenti, non può essere equiparata al matrimonio. La legge n. 76/2016 ha voluto però garantire ugualmente tutela ai conviventi di fatto attribuendo loro una serie di diritti che fino ad ora venivano riconosciuti solo ai coniugi.

A mero titolo esemplificativo:
- il convivente ha diritto di visita, di assistenza e può designare l’altro convivente quale suo rappresentante, in caso di malattia grave o morte;
- in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per 2 anni o, se superiore a 2 anni, per un periodo pari alla convivenza;
- nei casi di morte del conduttore o di recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha facoltà di succedergli nel contratto;
- in caso di cessazione della convivenza, il convivente ha diritto a chiedere gli alimenti ove ricorrono i presupposti.



FILIAZIONE: RICONOSCIMENTO E DISCONOSCIMENTO DI MATERNITA’ O DI PATERNITA’
La materia della filiazione ha costituito oggetto di riforma con legge delega n. 219/2012 e successivo d. lgs. n. 154/2013. A seguito della riforma può dirsi parificata la condizione dei figli naturali (nati al di fuori del matrimonio) a quella dei figli legittimi (nati all’interno del matrimonio). Il punto qualificante della riforma consiste sia nella modifica dell’art. 315 c.c. secondo cui “tutti i figli hanno lo stesso status giuridico”, sia nell’introduzione dello statuto dei diritti e doveri dei figli all’art. 315-bis c.c.
Ad essere innovativa è l’idea che il figlio è soggetto di diritto piuttosto che destinatario dell’adempimento dei doveri dei genitori. Oltre a richiamare i classici diritti al mantenimento, all’istruzione e all’educazione, l’art. 315-bis c.c. riconosce al figlio il diritto a ricevere assistenza morale e a crescere in famiglia mantenendo rapporti significativi con i parenti. Per contro in capo ai genitori grava il dovere di esercitare la responsabilità genitoriale dei figli riconosciuti. In altri termini i genitori devono assumere, di comune accordo, le concrete scelte riguardante i loro figli tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni e delle aspirazioni degli stessi.
Fatta questa doverosa premessa, ciò che fa sorgere il rapporto di filiazione tra genitore e figlio è il riconoscimento.
La nascita di un figlio, che è un fatto puramente naturale, attraverso il riconoscimento viene trasformato in un atto idoneo a produrre rapporti giuridici tra il genitore che effettua il riconoscimento e il figlio riconosciuto.
Il riconoscimento può essere fatto dalla madre o dal padre nell’atto di nascita o in un secondo momento con apposita dichiarazione dinanzi ad un ufficiale dello stato civile o in un atto pubblico o in un testamento.
Qualora non sia stato riconosciuto da uno o da entrambi i genitori, il figlio può agire in giudizio affinché il giudice accerti chi sia il genitore e di conseguenza dichiari lo status di figlio. In questo modo il figlio potrà godere dei diritti illustrati nella premessa (diritto al mantenimento, all’istruzione, all’educazione etc.).
Il disconoscimento della paternità, al contrario del riconoscimento, è l’azione giudiziale destinata a rimuovere l’attribuzione della paternità del figlio e con essa tutti i diritti e doveri esistenti tra i due. L’azione può essere proposta dal padre, dalla madre o dal figlio.